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Cicli vitali 03 – Le lattine di alluminio

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A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada
Winston Churchill

Le lattine di alluminio articolo originale in L’Etat de la Planète

Nel 1964, Reynolds ha introdotto le prime lattine monouso, una pratica alternativa alle bottiglie in vetro con deposito ed alle scatolette in ferro che richiedevano un apriscatole. Fino agli anni 80 le lattine sono state usate per birre e bibite analcoliche, mentre oggi servono a contenere succhi, bevande energizzanti e tè freddo. Le lattine vengono apprezzate per la leggerezza e robustezza oltre alla capacità di raffreddare rapidamente il contenuto.

Il consumo mondiale si stima intorno a 190/210 miliardi di unità l’anno per 3 milioni di tonnellate di metallo – il 10% della produzione mondiale di alluminio – per un prodotto la cui speranza di vita è della durata di pochi minuti.

Gli Americani consumano circa 100 miliardi di lattine l’anno, 340 a persona, 10 volte di più della media europea e il doppio di Canadesi, Giapponesi ed Australiani. Nelle economie emergenti, quali Cina, India ed ex-Unione Sovietica il consumo è di 10 lattine l’anno per abitante.

Avete forse sentito dire che le lattine sono riciclabili al 100%, che il riciclaggio fa risparmiare il 90% di energia (rispetto all’estrazione di alluminio nuovo) e che le lattine riciclate sono di nuovo sugli scaffali dei supermercati dopo 60 giorni. Questo è vero, tuttavia riciclabile non significa riciclato: nel 2004 il 45% delle lattine è stato riciclato negli USA – un tasso superiore rispetto al vetro ed alle bottiglie di plastica (vedi post) del 20/25%, ma inferiore a quello di altre regioni del mondo.

Sia la povertà che un’alta valorizzazione dei materiali di scarto hanno permesso al Brasile di raggiungere un tasso di riciclaggio del 96%, mentre in Giappone, dove la pulizia è un valore nazionale, unita ad un’importante azione civile, si arriva all’82%. E’ da notare che il sistema basato sul deposito rimborsabile ha prodotto un tasso di riciclo dal 75% all’80% in Danimarca, Germania, Svezia e Norvegia e in 11 Stati americani e 7 provincie Canadesi.

Nel 2004, 810.000 tonnellate di lattine sono gettate negli Stati Uniti e 300.000 nel resto del mondo; è come se 5 altoforni buttassero la produzione annuale – 1 milione di tonnellate di metallo – alla discarica. Il riciclaggio di queste lattine avrebbe permesso di economizzare 16 miliardi di kWh equivalenti all’elettricità consumata da 2 milioni di famiglie per un anno. Il riciclaggio di una sola scatola di alluminio rappresenta un’economia di elettricità sufficiente a far funzionare un computer portatile per 10 ore.

Ogni tonnellata di alluminio necessita l’estrazione in miniere a cielo aperto di circa 5 tonnellate di bauxite. La bauxite, quasi sempre di provenienza Australiana, Brasiliana, della Guinea e Giamaicana, viene raffinata in allumina con un processo che produce un residuo di svariate tonnellate di fango rosso corrosivo. L’allumina è poi sciolta con la criolite è scaldata con della corrente elettrica per produrre l’alluminio in fusione. Questo viene versato in lingotti o steso in fogli per la fabbricazione delle lattine.

La produzione primaria di alluminio consuma il 2% dell’elettricità mondiale.

Uno degli impatti meno conosciuti della produzione di alluminio è la distruzione degli habitat selvaggi, non solo a causa delle miniere a cielo aperto e degli scarichi inquinanti, ma anche a per la costruzione di grandi dighe per l’alimentazione in idroelettricità delle fonderie. Queste dighe “dedicate” alla fabbricazione di lattine hanno allagato migliaia di kilometri quadrati e, con la domanda increscita, altri progetti legati alla costruzione di fonderie sono allo studio in paesi come la Malesia ed il Brasile o l’Islanda.

Un terzo delle fonderie utilizzano invece centrali a carbone, emettendo centinaia di migliaia di tonnellate di CO2, CO, SO2, NOx, idrocarburi fluorati ed altri prodotti tossici causa di piogge acide e smog.

Aggiornamento

Fred’s footprint: A can-load of energy, da NewScientist

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