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Mobilità senza petrolio – Parte 1, Treni

we're on a train to nowhere...

L’allarme era stato lanciato ad inizio giugno: il Governo Berlusconi, per compensare il gettito ICI ed il deficit Alitalia, intende tagliare il Fondo per la promozione del trasporto pubblico locale per circa 353 milioni di euro stanziati dalla precedente finanziaria per il periodo 2008-2010. Lo dichiara l’Asstra (Associazione Trasporti) dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge fiscale che prevede i tagli al settore dei trasporti pubblici: Siamo alle solite, la prima manovra economica del governo penalizza il settore dei trasporti pubblici locali.

In un periodo di caro carburanti, rete stradale intasata e in costante riparazione, vengono eliminati dal bilancio nazionale proprio quei fondi necessari all’attuazione di misure tese a rafforzare il trasporto pubblico e locale, destinati all’utenza “sensibile”, come anziani, giovani, cittadini a basso reddito, portatori di handicap ecc. In questo periodo, in cui appare chiarissima la necessita di limitare l’uso dei mezzi privati e scremare la circolazione dei camion.

I tagli si indirizzeranno a tutti quei convogli in perdita, che riescono a raccogliere un numero di passeggeri sensibilmente inferiore rispetto alla loro effettiva portata. In concreto si tratta di una ventina di Intercity, soprattutto in Toscana e in Emilia-Romagna. Scelta obbligata, spiegano le Ferrovie, poiché si tratta di treni che non sono sovvenzionati, che si dovrebbero pagare con il costo del biglietto. La situazione viene ulteriormente aggravata dal fatto che le Regioni non pagano i costi di loro spettanza. Questo perché, la Finanziaria 2008 ha cancellato i trasferimenti dallo Stato alle Regioni dedicati al trasporto pubblico, con il risultato che le amministrazioni locali non possono onorare gli impegni assunti con le ferrovie.

La rete ferroviaria (vedi mappa) italiana deve essere ammodernata ed ampliata per costituire una valida alternativa al trasporto su gomma di persone e merci, invece… il decreto legge 93 del 27 maggio 2008 prevede dei tagli (articolo) per quei treni destinati ai pendolari sulle tratte meno redditizie, abolendo l’ammodernamento e la sicurezza, come nel caso della Roma-Pescara, ma anche decurtando i 45 milioni in tre anni per il trasporto merci. I treni redditizi sono quelli ad alta velocità e le linee urbane, ma il quadro italiano della mobilità è chiarissimo: nel nostro Paese, chi è fuori dalle grandi città va sempre di più solo in auto. E sempre più gente abita fuori città a causa del caro-affitti. Quindi? La scommessa della mobilità si gioca sul trasporto regionale, facendo cioè muovere cose e persone sul ferro ad un livello provinciale e non solo all’interno delle grandi aree urbane e da una metropoli all’altra. Come scriveva Vittorio Emiliani su L’Unità del 10 giugno, “mentre in tutto il mondo si punta sulle ferrovie per svincolarsi dal petrolio, in Italia, dove si è puntato per decenni su strade ed autostrade, con la conseguenza di una rete obsoleta, specie nel sud e nelle isole, il Governo decide di finanziare il taglio dell’ICI sottraendo i fondi delle Ferrovie. Una follia!

Ogni giorno possiamo vedere la folla alle fermate dell’autobus, della metro e dei treni regionali, ogni mattina e nel fine settimana. Poi c’è il trasporto merci che in Italia va per quasi il 90% su gomma, unico caso in Europa, che ora si rivela un reale svantaggio competitivo e diviene salasso per le piccole e medie imprese, costrette a scaricare il caro carburanti di fornitori e distributori sul prezzo delle merci in aggiunta del caro euro. All’estero Francia e Germania investono da anni sul ferro, mentre da noi, paese di colline e montagne, quindi adattissimo alla ferrovia, si è continuato ad investire sulla gomma “per l’indotto“.. La finanziaria di Prodi e Padoa-Schioppa ha tentato di invertire la tendenza di sempre, fondata sulla scommessa che il petrolio a 20 dollari sarebbe durato in eterno, adesso si mette la toppa del nucleare, facendo avanzare il carbone (vedi Torrevaldaliga). Guardiamo altrove.

In Italia si valuta a 3 miliardi di euro il business ferroviario ogni anno, 100 nel mondo, con una crescita del 2-3% per i prossimi 10 anni (vedi). Già a maggio l’Assifer, alla vigilia dell’Expo Ferroviaria, rivelava i dati in controtendenza del nostro paese rispetto all’Europa: alla crescita del 14% del 2006 è seguita una contrazione del 10% nel 2007: “Si salvano solo i cantieri per l’Alta Velocità, dove si mantengono gli investimenti, mentre rallentano i grandi progetti di collegamento internazionale ed i finanziamenti per lo svecchiamento dei treni per i pendolari“.

Piccole prospettive, mentre a Nord e a Est…

Vittorio da Rold parla di nuove vie della seta scrivendo dei progetti della transiberiana del XXI secolo (Eurasia, il treno dei miliardi) in cui si descrivono sia il collegamento Amburgo-Pechino, che debutterà tra un anno, sia la linea Istanbul-Shanghai (oltre al progetto, voluto da Putin di unire Siberia ed Alaska con un tunnel sotto lo Stretto di Bering). C’è vision presso la Deutche Bahn.

Più realisticamente, pensando all’Italia (dove si deve salvare il salvabile), impariamo dall’India, paese gigantesco, saggio e popoloso, in cui le, notoriamente, lentissime ferrovie costruite dagli inglesi sono state oggetto di risanamento ed ammodernamento, al punto che il Ministro delle Ferrovie Lalu Prasad Yadav è un idolo e viene visto come un salvatore della patria. Così recita uno splendido articolo: New Delhi risana le Ferrovie (Sole 24Ore del 1 giugno 2008).

La nostra filosofia è racchiusa in una formula: treni più veloci, più pesanti e più lunghi. Sudhir Kumar, dirigente del Ministero delle Ferrovie Indiano

Le Indian Railways, infatti, hanno imboccato la via di un risanamento considerato impossibile. In Italia, occorre ricordare le funeste parole di Andreotti, riprese nel film Il Divo, che suonavano così: “Ci sono due tipi di pazzi, quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le ferrovie“.

In India, Lalu ha gestito 1,4 milioni di lavoratori delle ferrovie, 63mila km di rete e 37 milardi di euro, più di quanto si sia investito nei 60 anni trascorsi dall’indipendenza ad oggi. Queste rupie sono state spese per comprare carrozze, modernizzare le linee e crearne di nuove. Lo scopo: muovere su ferro il crescente traffico merci tra le grandi città del paese.

Le Indian Railways sono passate da uno stato di trappola da debito allo stato terminale (secondo una commissione parlamentare del 2001) a divenire il simbolo del rinnovamento del paese.

Questo non è un posto dove si possa licenziare, alzare le tariffe e tagliare le tratte. Lalu Prasav Yadav

Tra il 2002 ed il 2007 le tariffe per il trasporto dei minerali ferrosi destinati all’esportazione sono aumentate del 172%;il risultato è che il 62% dei ricavi delle ferrovie provengono dal traffico merci e coprono i costi di una generosa politica tariffaria per i passeggeri.

“Abbiamo lavorato sui tempi morti”, spiega Kumar, “aumentando il numero di treni praticamente a costo zero”. I convogli più popolari sono stati portati da 16 a 24 carrozze (facendo così lievitare del 28% i costi, ma del 72% i ricavi) e nel trasporto merci, certe pratiche del passato, quando le tolleranze erano generose e sempre a favore di clienti e funzionari, sono state eliminate.

La nuova gestione ha anche introdotto un sistema elettronico di prenotazioni e upgrade trasparente, che riassegna i posti vuoti migliori (di prima classe) ai possessori di biglietti di seconda, liberando a cascata i posti in terza classe. Questa soluzione ha significato la rovina dei capitreno abituati a distribuire sottobanco i posti liberi nelle carrozze con aria condizionata.

Viva la III classe!

Solo rendendo capillare la rete ferroviaria si può liberare la mobilità dalla schiavitù del petrolio, dei motori a scoppio, del rumore, dell’asfalto soffocante. Tutto deve andare a velocità più regolare, più efficientemente (ferro su ferro) e silenziosamente (energia e motori elettrici).

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