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Lavoro? I disoccupati nel mondo…10 years update

22 Gennaio 2013 Nessun commento

WolrdUnemployment

Esattamente 10 anni fa mi trovavo all’International Labour Office (come precarissimo consulente sottopagato) a fare database su forza lavoro, lavoro minorile, lavoro forzato ecc.  quando, per una circostanza fortuita (ben spiegabile con il fuggi-fuggi degli alti burocrati di fronte ai media, quando non costretti dal superiore, a sua volta costretto dal media stesso), mi venne chiesto se volevo rispondere ad una breve intervista presso la Radio Vaticana.

Era da poco uscito il Rapporto Annuale dell’ILO e nessun interno italian-speaking voleva andare al microfono per  rispondere a domande conoscute con risposte preparate dai direttori della comunicazione.

Andai quindi nella saletta insonorizzata per fare l’intervista con Alberto LoMonaco al telefono…

Il tema era quello di oggi: (la stima del numero de) i disoccupati nel mondo. Il fallimento dell’ILO, in breve.

Già allora nel 2003, con i dati del 2002, si parlava di record e conseguente fallimento dei Millenium development goals del 2015. In sintesi:

  • 180 M dispoccuppati
  • 550 M lavoratori poveri
  • = indecenza 730 M

Oggi, secondo il Global Employment Trends (sintesi 9 pag., report, 239 pag.) siamo a:

  • 200 M disoccupati
  • 870 M lavoratori poveri
  • = indecenza 1,07 MLD

Le tabelle che seguono, parlano…per chi vuol sentire.

E’ il lavoro, “oltre” la produzione, nella vita. Questi numeri super-aggregati sono persone!

Ricordiamocelo e ricordiamoglielo!!

Lavoratori poveri 1,25$/giorno

WorkingPoor125$day

Lavoratori poveri 2$/giorno

WorkingPoor2$day

Lavoratori “vulnerabili”

VulnerableEmployment

Intervista Radio vaticana 28 gennaio 2003

I DISOCCUPATI NEL 2000  SONO AUMENTATI DI 20 MILIONI

E COMPLESSIVAMENTE LE PERSONE SENZA LAVORO SONO 180 MILIONI.

SONO QUESTI I DATI DEL RAPPORTO DELL’UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO

SULLE TENDENZE MONDIALI DELL’OCCUPAZIONE

– Intervista con Giancarlo Fiorito –

 Due anni di instabilità economica fanno registrare un numero senza precedenti di disoccupati nel mondo e sono scarse le prospettive di un miglioramento della situazione dell’occupazione per quest’anno. Sono queste le indicazioni del rapporto sulle tendenze mondiali dell’occupazione pubblicato la scorsa settimana dall’Ufficio internazionale del lavoro. Le conseguenze degli attentati dell’11 settembre ed il rallentamento dell’economia mondiale hanno provocato un aumento del tasso di disoccupazione. La debolezza dei mercati del lavoro ha inoltre vanificato i progressi realizzati alla fine degli anni ’90 nella riduzione del numero dei “lavoratori poveri”. Secondo il rapporto, per raggiungere l’obiettivo di dimezzare la povertà estrema entro il 2015, si dovranno creare almeno un miliardo di posti di lavoro nei prossimi dieci anni. Sui complessi scenari legati al tema dell’occupazione, ascoltiamo Giancarlo Fiorito, ricercatore del Dipartimento impiego dell’Ufficio internazionale del lavoro, al microfono di Amedeo Lomonaco.

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R. – Alla fine del 2002, il numero dei disoccupati ha raggiunto quota 180 milioni, quindi circa 20 milioni in più rispetto all’anno precedente. Le donne ed i giovani sono stati particolarmente colpiti dal rallentamento del motore economico. Infatti, accanto ad un aumento della disoccupazione si registra un incremento di coloro che trovano impiego nel settore cosiddetto informale, dove le condizioni di lavoro sono molto spesso al di sotto degli standard accettabili. Oggi globalmente nel mondo vi sono almeno 550 milioni di lavoratori poveri e oltre alla disoccupazione vera e propria, quindi, possiamo calcolare una mancanza di lavoro “decente” per almeno 730 milioni di persone. Alla luce di questo scenario, sarà difficile centrare l’obiettivo delle Nazioni Unite di ridurre significativamente la povertà entro il 2015.

D. – Quali sono le cause del rialzo del tasso di disoccupazione?

R. – Tra le cause principali possiamo identificare il crollo in borsa della new economy, avvenuto nella primavera del 2001, che ha determinato gravi perdite nell’impiego del settore. Gli eventi dell’11 settembre si sono inoltre negativamente ripercossi sul turismo ed hanno anche ridotto la fiducia dei consumatori. Questi effetti hanno poi provocato un calo generale della domanda nei Paesi in via di sviluppo duramente colpiti dalla crisi che ha interessato i settori legati all’export. A questi fattori si possono aggiungere la perdita di fiducia degli investitori e la diffusione dei conflitti armati in varie aree del mondo.

D. – Quali conseguenze avrebbe per il mondo del lavoro una guerra in Iraq?

R. – In questo studio non abbiamo analizzato le conseguenze che un eventuale intervento in Iraq provocherebbe nel mondo del lavoro. Ovviamente, questo è un campo che riguarda soprattutto i settori dell’energia e dell’approvvi-gionamento delle risorse.

D. – Quali sono le aree maggiormente colpite dalla disoccupazione?

R. – Le aree più colpite sono i Paesi industrializzati, dove c’è una crescente disoccupazione che noi possiamo registrare anche nei Paesi in via di sviluppo, come nel caso dell’Argentina. Il settore informale nei Paesi in via di sviluppo non riesce più a svolgere il suo ruolo di ammortizzatore nelle fasi di bassa occupazione. Questo avviene da circa due anni e conferma la diminuzione dell’occupazione anche in queste aree del mondo.

D. – Quali misure potrebbero essere adottate per rilanciare l’economia e l’espansione dell’occupazione?

R. – Prima di tutto i governi dovrebbero concentrarsi sulle misure a sostegno della ripresa economica. Un’economia forte, infatti, è il presupposto per una diminuzione della disoccupazione. Noi stimiamo che il mondo debba creare un miliardo di posti di lavoro nei prossimi dieci anni per poter colmare il deficit occupazionale. Per raggiungere questo obiettivo i governi devono incentivare il settore privato creando infrastrutture e realizzando programmi pubblici. E’ necessario ridurre la vulnerabilità dei Paesi in via di sviluppo, dove gli shock finanziari si verificano troppo frequentemente. Infine, bisogna affrontare il problema della povertà che si traduce molto spesso in mancanza di educazione e scarsa produttività della manodopera.