La lezione delle materie prime di Leonardo Maugeri, Il Sole 24Ore 29/6/08 Non c'è solo il prezzo del petrolio a turbare i sonni delle economie occidentali. I prezzi di gran parte delle materie prime sono aumentati drasticamente dal biennio 1998-99 a oggi, alcuni ben più di quelli dell'oro nero; ma se ne parla poco. In realtà, le radici della corsa al rialzo dei loro prezzi sono comuni, e vanno ben oltre fattori contingenti quali la domanda asiatica, le tensioni geopolitiche o la speculazione, che pure esistono. Inoltre, ciò che le spinge in alto si è già verificato in passato, seguendo un percorso che si sta ripetendo oggi. Cercherò di spiegare perché. In modo non omogeneo, a partire dal biennio 1982-83 cominciò un ciclo negativo delle materie prime, proseguito si-e no alla fine degli anni 90. Molti lo hanno dimenticato, ma allora si diceva che le economie moderne si stavano smaterializzando , poiché avevano sempre meno bisogno di materie prime per crescere e prosperare. In parte era vero, poiché le economie più avanzate si stavano spostando verso l'immaterialità,in cui il settore dei servizi svolge la parte del leone rispetto all'industria o all'agricoltura. Abbacinati da questa prospettiva, i teorici delle economie avanzate quasi disdegnavano le industrie di base e l'agricoltura, considerati residui di un passato destinato a essere travolto dall'era dell'alta tecnologia, di internet e dei mercati virtuali. Ma per quanto le economie si possano smaterializzare, qualcuno che fa i bulloni occorre sempre. Nel senso che qualcuno che, produce beni necessari ad alimentare la struttura economica delle nostre società (e gli stessi mercati virtuali ) è sempre necessario. In ogni caso, tra gli anni 80 e 90 la domanda di materie prime crebbe a ritmi asfittici rispetto a una capacità produttiva in forte eccesso rispetto ai fabbisogni - capacità creata nel precedente ciclo di boom (1968-1982) delle commodities (altro modo per chiamare le materie prime). Di conseguenza, i prezzi di queste ultime rimasero su livelli bassi e cedenti che indussero alla chiusura di molte iniziative di sviluppo già avviate e scoraggiarono campagne esplorative per cercare nuove miniere e giacimenti. Era la legge bronzea dell'economia: se la capacità produttiva di un bene è di gran lunga superiore al suo consumo, il prezzo di quel bene rimarrà basso fino a quando non sarà ridimensionata (cioè tagliata) la capacità di produrlo. In quegli anni nessuno si scandalizzava quando nel mondo venivano chiuse miniere d'oro, di uranio e di rame, o si rinunciava a sviluppati giacimenti petroliferi già scoperti. Così come appariva ineluttabile che fossero abbandonate terre coltivabili in assenza di sussidi pubblici, o che fossero ridotte al minimo le scorte di beni primari perchè troppo costose da mantenere. Per la stessa ragione, si chiudevano impianti di raffinazione di petrolio così come fonderie, altiforni e tutto quant'altro era necessario per trasformare materie grezze in prodotti utilizzabili sui mercati finali o intermedi. Semplicemente, ce n'erano troppe e i margini non consentivano alcun guadagno ai loro proprietari. A forza di tagli, chiusure e mancato sviluppo, la capacità produttiva in eccesso è stata riassorbita. Forse troppo. Perché quando la domanda di molti beni di base è ripartita- trainata soprattutto da paesi emergenti - il potenziale produttivo è apparso troppo limitato per farle fronte. E, come in ogni mercato che si rispetti, i prezzi di quei beni hanno cominciato a salire in modo tumultuoso. In alcuni casi, anche in assenza di una domanda particolarmente vigorosa. Poiché non voglio inondare di numeri il lettore, affido a una semplice tabella il confronto tra variazione dei prezzi (assoluta e percentuale) di alcune tra le principali materie prime dal 1999 a oggi. Un confronto che non tiene conto dei picchi assoluti di prezzo registrati negli scorsi mesi o anni da alcune materie prime. Il paradosso di quei numeri è che la materia prima che in assoluto ha registrato il maggior incremento in questo arco di tempo - l'uranio (cresciuto fino a un picco del 966% nel 2007) - non ha registrato negli anni una ripresa vigorosa di domanda: semplicemente, erano state chiuse troppe miniere di uranio e non ne erano state sviluppate abbastanza negli anni in cui l'uranio registrava prezzi da saldo. La morale di questa storia è che le materie prime hanno i loro cicli, come ogni altro bene: quando i loro prezzi sono troppo bassi troppo a lungo il loro sviluppo si contrae, fino a quando non si è contratto abbastanza da far risalire i prezzi e rilanciare gli investimenti. I cicli delle materie prime sono poco conosciuti e studiati. E in ogni caso, anche quegli studi che le riguardano sono generalmente trascurati. Il XX secolo ha visto il ripetersi di tre di questi cicli (collocabili all'incirca tra il 1906 e il 1923; il 1933 e il 1953; il 1968 e il 1982) con una durata media compresa tra i 14 e i 20 anni. All'interno del ciclo si è registrato il momento di picco - cioè di massima tensione dei prezzi - seguiti da una discesa piuttosto repentina, fino a crolli veri e propri. Quali sono le lezioni che ci hanno insegnato? In generale, durante questi cicli tutti i prezzi delle materie prime si sono mossi al rialzo quasi all'unisono, sebbene con differenti tassi di crescita e fasi iniziali e terminali non perfettamente coincidenti (in genere le differenze sono di uno o due anni). Così, i cicli di alcune materie prime sono stati leggermente più brevi, altri più lunghi. Ciascun ciclo di rialzi è partito dopo molti anni di eccesso di capacità produttiva e prezzi bassi, durante i quali si sono registrati fallimenti e chiusure di molti impianti, miniere e giacimenti che producevano commodities. Un'altra lezione è che quando le materie prime hanno registrato prezzi asfittici, le Borse internazionali hanno goduto di fasi di espansione o veri e propri boom (probabilmente perché le aziende industriali che utilizzavano materie prime le pagavano a prezzi da saldo). Di converso, durante i cicli di boom delle materie prime, le borse internazionali hanno sofferto e sono arretrate. L'ultima lezione è che durante i cicli di boom delle materie prime la maggior parte degli analisti ha sempre prefigurato il loro prossimo esaurimento, reso più rapido da previsioni catastrofiche (anche nel passato) di crescita demografica - e quindi di maggior consumo delle stesse. Al contrario, gli studi fatti sulla questione rivelano che le riserve di ogni materia prima sono costantemente aumentate nel XX secolo, grazie proprio ai prezzi elevati e alle nuove tecnologie sperimentate nei cicli di boom - che hanno consentito di trovarne e estrarne più di quanto fosse possibile quando i loro prezzi erano troppo bassi. Queste lezioni trovano conferma puntuale in quanto sta accadendo oggi, legittimando la massima secondo cui la storia non si ripete, ma si assomiglia (e molto). Dobbiamo dedurne che prima dei canonici 14-20 anni non usciremo dalla crisi? Non credo, proprio perché la storia non si ripete mai in modo eguale, ma anche perché il momento di picco dei prezzi può verificarsi ben prima che la successiva discesa porti al punto più basso dei prezzi stessi - avviando il ciclo negativo. Ma a meno che una recessione di vaste proporzioni non tagli la domanda di materie prime, portando prima del previsto a una caduta dei loro prezzi, ci vorrà ancora tempo e ristabilire quella capacità produttiva necessaria a far fronte non solo alla domanda corrente, ma anche a momenti imprevedibili di interruzione dell'offerta da una o più fonti. Queste interruzioni possono sempre aver luogo a causa di incidenti, tensioni politiche, guerre. Per questa ragione, il settore delle materie prime (come qualsiasi settore industriale) ha bisogno di un cuscino di capacità produttiva non utilizzata ma pronta a essere immessa sul mercato qualora la produzione di uno o pi Paesi venga temporaneamente a mancare. Chiamata in gergo spare capacity, la capacità inutilizzata di un bene è la vera origine del suo prezzo: quando. la spare capacity è bassa, il prezzo è strutturalmente in tensione e viceversa. Per esempio, nel settore petrolifero essa oggi ammonta a circa il 3% dei consumi globali, collocandosi tra i 2-3 milioni di barili al giorno. E chiaro che in queste condizioni ogni prospettiva del venir meno dell'offerta di petrolio da un Paese o da un'area getta nello sconforto gli operatori del mercato, contribuendo ad aumentare a dismisura movimenti finanziari di copertura del rischio ma anche di vera e propria speculazione. Questi ultimi, d'altra parte, amplificano le tendenze al rialzo di un mercato già in tensione perché strutturalmente inadeguato a far fronte a momenti di crisi, reali o percepite. Ci vorrà ancora del tempo perché il ciclo maledetto delle materie prime si sgonfi, poiché occorre tempo per ricostituire un'ampia capacità produttiva per ciascuna commodity. Una miniera o un giacimento non si scoprono e si sviluppano in due o tre anni, e per di pi scarseggiano nel mondo geologi, ingegneri mine- rari, tecnici e equipaggiamenti. A meno di una recessione mondiale e di una drastica caduta dei consumi (che non possiamo mai escludere) l'unica alternativa a breve è imparare a consumare meno e meglio le materie prime stesse. Infatti, se c'è stata una ulteriore lezione positiva in ciascuno dei passati cicli di boom delle commodities, questo è stato il salto di qualità nell'efficienza e nelle tecnologie nel loro impiego. Obiettivi insperabili quando le materie prime costano poco e tutti sono indotti a sprecarle. Alla ricerca di nuove scale di valori