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Pensieri bioeconomici 2009 – Keynes e Friedman visti da Krugman…e il PD visto da me

La Repubblica produce oggi un pezzo del Nobel 2008 Paul Krugman sulla politica prossima ventura di Obama, in cui discute di fattibilità, efficacia e tempestività del varo di leggi di impronta keynesiana in un paese che per decenni ha sostanzialmente attuato politiche monetariste, sia con amministrazioni democratiche che repubblicane. Dice Krugman:

“Dopo aver dichiarato per decenni che il Governo è il problema e non la soluzione – per non parlare di quanto hanno insultato sia l’economa keynesiana sia il New Deal – la maggior parte dei repubblicani non necessariamente condividerà l’esigenza di risolvere la crisi economica con una soluzione alla Franklin Delano Roosvelt e un ingente piano di spesa pubblica.

Il problema più grande che il piano Obama dovrà superare, probabilmente, sarà la richiesta da parte di molti politici di dimostrare che i benefici delle spese pubbliche proposte ne giustificano i costi, onere della prova mai imposto agli sgravi fiscali.

Questo è un problema col quale Keynes aveva una certa familiarità: egli faceva notare infatti che scialacquare soldi è un’azione che tende ad essere accolta con minori obiezioni rispetto ad un piano di investimenti pubblici, che

“per il fatto di non costituire uno spreco assoluto, tendono invece ad essere giudicati in base a rigidi principi affaristici”.

In queste discussioni si perde completamente di vista la motivazione fondamentale degli incentivi economici, per la precisione, il fatto che al momento un aumento della spesa pubblica darebbe lavoro a quegli americani che si ritroverebbero altrimenti disoccupati e utilizzerebbe quei soldi che diversamente resterebbero inutilizzati, mettendo entrambi al lavoro per produrre qualcosa di utile”.

E’ un’algebra con la quale concordo, mentre non condivido affatto la posizione di Krugman che il sistema economico debba essere visto come una sfida tecnica e non una rappresentazione morale.

Keynes’s genius – a very English one – was to insist we should approach an economic system not as a morality play but as a technical challenge.

Questa posizione ha condotto alla sovrastima delle possibilità della rappresentazione matematica dei fenomeni socio-economici, che pecca di cubica miopia:

La visione dell’economia come una “sfida tecnica”, inoltre, ha prodotto una accettazione generalizzata che il governo dei conti pubblici, quindi della politica, siano vincolati all’imprimantur dei modellizzatori formati oltreoceano.

Sfortunatamente i Modelli di Equilibrio Generale Calcolabile (CGE) su cui fanno le simulazioni di politiche budgetarie non tengono conto del fatto che “impiego” significa a vite umane e non solo voti.

Su questi punti si gioca la possibilità di esistere della sinistra politica. Elaborare un programma di politica economica giusta, per più persone possibile, oggi e per le future generazioni, è una sfida formidabile.

La battaglia è all’interno della stessa sinistra, ne con gli “estremisti” che vedono solo una tutela del lavoro, mantenendo una visione distorta del capitale (il “nemico”), ne dalla parte dei”moderati”, pronti ad inciuciare con tutti, in nome del vuoto allargamento del consenso.

Purtroppo (e qui si parla proprio del Partito Democratico) entrambe le posizioni, così come l’ambientalismo del fare “alla Realacci”, non hanno una visione economica o morale che tenti di conciliare l’ecologia con l’etica e che costituirebbe davvero la sintesi delle due anime del PD, restando, invece, immerse in un produttivismo acritico, che “subisce” le esternalità ambientali e le ingiustizie sociali, in nome della crescita che dovrebbero reinventare.

La battaglia poi, ovviamente, è con la destra, squilibrata tra statalismo e liberismo in economia e tra ordine e la violenza che generano al Viminale. La destra oggi ha un punto debole: è una forza incapace di coordinare le forze produttive in una società virtuosa usando i valori a cui si richiama.

In definitiva, è in gioco una visione dell’uomo dl XXI secolo, che, a sinistra, prende forma su un terreno scivoloso (l’economia matematica privilegia il breve periodo ed il quantitativo) e (da Gorbaciov in poi) in masochistica pendenza di 60 anni di colpe del socialismo, originati dal credere – spesso acriticamente – che cambiando la proprietà dei mezzi di produzione si potesse continuare a produrre cose inutili, svuotando miniere, riempiendo discariche e mutando l’aria e l’acqua in veleno.

Sul mancato recepimento di Marx ed Engels dei flussi di energia e materiali nei loro modelli, come proposto da Sergej Podolinsky nella sua energetica dell’agricoltura (“agricultural energetics“), vedi ad esempio Martinez-Alier, Social metabolism and ecological distributional conflicts (corposo pdf, ma l’introduzione basta).

Attenzione!

Il sistema capitalistico ha 150 anni di colpe, non ancora pienamente ammesse. La sua durata è determinata, e svelata, dal petrolio a buon mercato. Oggi, la fine del “suo” carburante sta facendo operare dei profondi ripensamenti ai cultori dei modelli matematici newtoniani, che, presto o tardi, passeranno dal pendolo alla clessidra (vedi).

P.S. Sul dato di fatto che il petrolio a buon mercato sia finito vedi WEO 2008 (pag 9/10, “tra le righe”) e relativi commenti qui, qui, qui, qui e qui.

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