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Cyclopolis 4 – Denis de Rougemont, L’automobile contro la cultura

“L’automobile ha provocato il più grande sconquasso sociale dall’epoca di Napoleone”

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Nella storia del XX secolo, Denis de Rougemont (Couvet près de Neuchatel, 1895 – Ginevra, 1985) è ricordato come uno scrittore di talento, un difensore dell’Europa unita, fondata su regioni a geometria variabile. I media omettono talvolta di sottolineare che fu, soprattutto alla fine della sua vita, un ecologista convinto. Fu contro il nucleare, contrario ai mega-progetti (come l’aereo supersonico Concorde), contrario alla crescita delle città ed alle megalopoli, fu un critico feroce dell’auto individuale.

In L’avenir est notre affaire scrive: “Noi possiamo ritenere Hitler e l’automobile i due flagelli più devastanti del XX secolo e la futurologia li ha mancati” (1). Questa frase può sembrare eccessiva e scioccante da parte di un uomo che non ha mai difeso posizioni politiche estremiste. Ma per Denis de Rougemont l’automobile simboleggia lo spirito del secolo:

  • potenza,
  • individualismo,
  • produttivismo industriale,
  • razionalità eccessiva e
  • creazione di bisogni artificiali.

Egli interpreta la situazione politica dell’inizio degli anni 70 come la risultante dell’incrocio di “due storie pazze”:

Riassumiamo: nel 1899 nessuno ha bisogno dell’Auto. Ma Henry Ford riuscì ad imporla in qualche decina d’anni, ed ecco le nostre città divenute invivibili, la cementificazione universale, la natura sfigurata, la morale quotidiana e pubblica degradata, l’intera industria e l’economia ostaggio delle risorse petrolifere, che dipendono della politica dei paesi Arabi, che è determinata dall’esistenza di Israele, che resa possibile e necessaria dai campi di concentramento di Hitler” (2).

Detto da uno dei padri dell’Europa federale, l’accusa non è aneddotica. L’automobile simboleggia, ai suoi occhi, l’imperialismo di una cultura economica divenuta dogmatica, che stravolge regioni, città e culture, presentando la velocità come un progresso indiscutibile. Secondo de Rougemont, Henry Ford è soprattutto il fondatore della religione della crescita, il “simbolo del mondo moderno, e il migliore, poiché nessuno più di lui si è avvicinato al tipo ideale di industria nel mondo capitalistico”.

Ford non è l’inventore dell’automobile, il titolo tocca agli ingegneri tedeschi Carl Benz (1844-1929) e Gottleib Daimler (1834-1900) che presentarono un modello al Kaiser Guglielmo nel 1882. Ma la sua invenzione, il fordismo, sarà determinante per la storia del XX secolo e farà di “questo piccolo contadino d’America” un miliardario, e poi il simbolo del secolo. Ford sarà l’ingegnere di un modo di vivere che ruota intorno ad un obiettivo: la produzione in serie, in questo caso, di automobili. Tuttavia, agli inizi Ford dovette fare fronte ad un problema che appare oggi stupefacente, visti i 40 milioni di auto prodotti ogni anno nel mondo: per sua stessa affermazione, al volgere del secolo, “non esisteva una domanda di automobili” (3).

Ford notò che “l’americano non si interessa alle auto che per spirito di competizione“. Ed accettò la sfida. Nel 1903, vinse la sua prima corsa di velocità e, sull’onda del successo fondò la Ford Motor Company. Ma la domanda di automobili rimaneva insufficiente. Per rimediare a tale assenza, talvolta ripugnanza, del pubblico di fronte alla macchina, egli “immagina il solo, vero modo di creare un bisogno dove non esiste: la pubblicità. […] Inventa la tecnica degli slogan, delle storie inverosimili, dei pavoneggiamenti enormi“.(4)

Così, contrariamente ad un’opinione diffusa, l’entusiasmo degli automobilisti per la loro auto non fu spontaneo. Rougemont cita Ford:” Nel 1892, completai la mia prima auto…che rimase a lungo la sola auto di Detroit. La si considerava piuttosto un disturbo (“nuisance”), a causa del suo rumore che spaventava i cavalli…Ho fatto con questa macchina circa 1000 miglia, l’ho poi venduta a Charles Ainsley di Detroit, per 200 dollari. Fu la mia prima auto venduta.” (5)

Malgrado gli inizi stentati, la cultura urbana si avviava a trasformarsi radicalmente e Ford non fu estraneo al processo. Grazie alla pubblicità egli farà dell’auto un simbolo di liberazione e – paradossalmente, guardando all’inquinamento ed ai 5 milioni di morti Americani in un secolo sulle strade (6) – un oggetto che permette di accedere all’aria pura ed alla salute:

L’auto riesce a portarvi ovunque vogliate, ovunque amiate andare…per riposare il cervello con delle lunghe passeggiate a pieni polmoni grazie a questo tonico dei tonici: un’atmosfera salubre.

Ora, la realtà che osserva Rougemont è completamente diversa. L’automobile che doveva servire, asservisce.

La critica dell’automobile di de Rougemont non inizia con l’invasione delle città dopo la II Guerra Mondiale e non è diretta contro l’oggetto stesso. E’ l’uomo Henry Ford che egli attacca. In un articolo giovanile, apparso nel 1928 su Foi et Vie a Parigi, parla del Pericolo Ford. Un sottotitolo recita “Mister Ford, o la filosofia di quelli che non lo vogliono”. Mentre Alfred Sauvy insorge contro le risorse accaparrate dalla “automobilizzazione” della Francia, Ivan Ilich e Jean Robert qualificano l’auto di antisociale e cronofaga, Rougemont, difensore di un’Europa della cultura, delle regioni e della persona, l’accusa di ledere l’uomo moderno “nei suoi reali bisogni, desideri e obiettivi”. Riassume, sempre in uno scritto del 1928:

Lo scandalo, secondo me, non è che l’industriale abbia forzato (psicologicamente) il cliente a fare una spesa superflua; lo scandalo è che lo abbia ingannato sui suoi reali bisogni. Questo inganno va molto più in profondità. Può condurre, generalizzandosi, a una specie di suicidio del genere umano, per perdita del suo istinto di sopravvivenza, di autoregolamentazione e di alternanze.”

Partecipando all’emergenza del marketing la Ford Motor Company, sarà all’origine di una formidabile manipolazione dell’operaio. Riuscirà a controllare tutta la sua vita, dal suo lavoro ai suoi svaghi:

Se Ford lascia liberi gli operai e gli da un’apparenza di libertà, è per meglio prenderli nel suo ingranaggio. L’impiego dei loro svaghi è previsto. E’ determinato dalla reclame, i prodotti Ford che bisogna usare ecc. Ha per vero obiettivo l’aumento dei consumi. Rende più completa la schiavitù dell’operaio, poiché ingloba perfino il suo riposo nel ciclo della produzione. Un circolo vizioso: più si intensifica la produzione, più serve creare dei bisogni e dei divertimenti. L’industria non può sussistere che progredendo. Ma la natura umana ha dei limiti. E si avvicina il tempo in cui saranno raggiunti.”(7)

Denis de Rougemont percepisce perfettamente l’intricarsi degli effetti negativi dell’automobile sulla società:

Espansione urbana, frammentazione delle comunità, ingombro che rende impraticabile la fruizione delle tipicità che fanno la ragion d’essere di una città: trasporti, mercati, cultura, bellezza del panorama urbano, sicurezza, sorprese della strada, vita nelle piazze“.

Delle caratteristiche che facevano delle città un luogo privilegiato per lo sviluppo delle idee e della democrazia. In Illich, la scommessa dell’energia e dell’automobile è l’equità. Rougemont insiste sulla democrazia che ne risulta indebolita:

“Scacciando i pedoni dalle arterie consegnate al fiume di auto e dalle piazze trasformate in parcheggi, l’auto devasta o vieta i luoghi ove si formava l’opinione-viva a seconda degli incontri o delle riunioni” (8).

In breve, la polis è minacciata dall’invasione che viene dall’acropolis, colonizzata dall’automobile. Come se non bastasse, la distruzione che ne consegue dovuta all’automobile si estende all’insieme del territorio. Le cattive abitudini prese nelle città si traducono nella distruzione del patrimonio naturale lontano da quelle:

Poiché non può più vivere in città, il cittadino si getta sulla campagna e non perde tempo a snaturarla. Anche in senso ecologico, Parigi crea il deserto francese. A causa dell’auto il 18% del territorio Olandese é cementificato […] L’auto distrugge tutto quello che riesce a scoprire, a cominciare dai bei paesaggi, cementificati e feriti […]. (9)

Denis de Rougemont ha vissuto 90 anni, ha visto il fenomeno dell’automobile svilupparsi sotto i suoi occhi e si spinge a dichiarare:

l’automobile ha preso possesso delle città, poi dello Stato ed infine delle coscienze.

E’ questo che chiama “l’inversione dei mezzi e dei fini”; con gli ultimi privati della loro importanza man mano che i mezzi si moltiplicavano..

Denis de Rougemont, che si definisce un pessimista attivo (10), fu cosciente – forse il primo, dato che il suo articolo in Foi et Vie risale al 1928 – del fatto che il dogma dell’automobile costituisce un serio ostacolo alla democrazia partecipativa, in un Europa delle culture regionali.

Limitando i contatti tra gli individui, il suo dominio progressivo ed insidioso sulle società agisce come un sonnifero sul comportamento civico.

(1) Denis de Rougemont, L’Avenir est notre affaire, (1977) Paris, Stock, p 160.

(2) Ibid, p. 170

(3) American Automobile Manufacturers Association, World Vehicle Data, AAMA, Detroit, Michigan.

(4) Denis de Rougemont, Op. cit. p 165.

(5) Denis de Rougemont, Op. cit. p 164. In Down the Asphalt path – The Automobile and the American City, Clay McShane conferma tale timore, prevalente alla fine del XIX secolo nei confronti della mobilità motorizzata. “Il consiglio comunale di Milwaukee, per facilitare l’espansione della città aveva concesso delle franchigie per attrezzare le strade (trasporti elettrici, benzina e telefoni). I residenti delle strade dove dovevano passare i trasporti pubblici temevano i trasporti rapidi. Essi erano preoccupati dagli incidenti stradali e dall’inquinamento causato dai motori a vapore. Il consiglio comunale ascoltò i desideri dei cittadini piuttosto che quelli degli imprenditori“.

(6) Tooker Gomberg (2000), “It is time to Bury the Car”, Auto Free Times issue 17, p. 14.

(7) Denis de Rougemont, Op. cit. p 175.

(8) Ibid. Op. cit. p 168.

(9) Ibid. Op. cit. p 168.

Approfondimenti

Il concetto di “Fordismo” è creato da Antonio Gramsci vedi Quaderno 22 e discussione su resistenze.org.

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